9 ottobre 2012. Il sole brilla forte sulla valle di Swat. Dal vecchio scuolabus senza tetto che la riporta a casa, Malala sorride e segue il volo degli aquiloni colorati nell'enorme cielo azzurro. Anche oggi ce l'ha fatta: ha attraversato il fiume e ha raggiunto la scuola. È riuscita a studiare, a leggere, a imparare. Nonostante i pregiudizi. Nonostante le minacce.
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Nonostante le imposizioni. Perché i Talebani al potere vogliono togliere questo diritto a tutte le ragazze come lei, e sono pronti a uccidere chi osa gridare il proprio desiderio di conoscere il mondo. Malala questo lo sa bene, e quando a un tratto l'autista frena rumorosamente, fermando il bus nel mezzo di quella strada fatta di terra e polvere, capisce subito che qualcosa non va. Un uomo, i capelli lunghi e il volto coperto da una folta barba scura, sale a bordo all'improvviso con un salto. Impugna una pistola nera e grida furioso il suo nome. Sta cercando proprio lei. Nessuno parla, nessuno risponde a quell'urlo. Poi lentamente i visi cominciano a girarsi e a guardare Malala, indicandola in silenzio con occhi impauriti. Lei è l'unica, sullo scuolabus, ad avere il volto scoperto e lo sguardo fisso su quell'uomo che rapidamente alza il braccio e fa fuoco. Quattro rumori violenti, quattro spari, quattro proiettili la colpiscono. Ma quella mattina Malala non muore, e questa è la sua storia.