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I commenti più recenti

  • Ogni mattina a Jenin

    Abulhawa, Susan

    • 24/04/2024 Gruppo Di Lettura - Il Club Del Sabato
      La lettura di “Ogni mattina a Jenin” è stata, per i partecipanti del nostro gruppo di lettura, un’esperienza profonda, tormentata e, a tratti, dolorosa. Tuttavia l’opinione di tutti è che questa sia stata anche una lettura preziosa e, in qualche modo, necessaria. Come lamentato dallo storico Edward Said, esiste un grande vuoto nella storia del popolo palestinese: un’opera letteraria importante capace di rappresentare, anche agli occhi degli occidentali, la tragedia sofferta dalle diverse generazioni di palestinesi a partire dal 1948, data della nascita dello Stato di Israele. Questo libro è probabilmente il tentativo più riuscito finora di colmare questo vuoto. La scrittrice americana di origine palestinese Susan Abulhawa sceglie di raccontare la storia travagliata di un intero popolo seguendo le vicende di una famiglia che, nel corso di quattro generazioni, vivrà sulla sua pelle tutti i momenti più drammatici e importanti della storia di quella regione. L’inizio del romanzo ha trasportato i lettori, con toni poetici e nostalgici, alla scoperta della vita quotidiana del piccolo villaggio di Ain Hod, entrando nelle umili case degli suoi abitanti, cariche degli odori e sapori della loro cucina, conoscendo le loro fatiche e soddisfazioni nel lavoro delle campagne e assistendo allo scorrere della vita, tra nascite, amori, matrimoni, amicizie, conflitti e lutti. Questa parte iniziale, seppur breve, è stata di grande importanza per i lettori, perché ci ha ricordato ancora una volta, semmai ce ne fosse il bisogno, che la Palestina non era affatto, prima del 1948, una “terra senza popolo”. Tutto questo fu spazzato via dalla “Nakba”, la catastrofe, ovvero la cacciata violenta di oltre 700.000 palestinesi dalle loro terre e la distruzione di centinaia di villaggi, in un deliberato tentativo di cancellazione della memoria storica di un intero popolo. La vita che segue, nel campo profughi di Jenin, è durissima e mette a dura prova la resistenza di tutti, soprattutto degli anziani strappati con violenza dalle loro terre e di quanti hanno perduto i loro cari, uccisi o scomparsi in quei giorni tragici. È proprio a Jenin che nasce, da profuga, la voce narrante del romanzo, Amal (“speranza” in lingua araba). L’infanzia di Amal si svolge nella precarietà del campo, in cui nella grande povertà c’è spazio per la condivisione e la solidarietà, in cui grandi amicizie e affetti nascono anche all’ombra di tragedie che hanno segnato per sempre i cuori e le menti di quanti non riescono a dimenticare. Una speranza per il futuro di Amal si apre con la sua ammissione in un orfanotrofio di Gerusalemme e successivamente, grazie ai suoi ottimi risultati scolastici, con una borsa di studio che le consente di raggiungere l’America e di laurearsi e, poco tempo dopo, di progettare un futuro famigliare felice. Ma durante tutto questo tempo l’inarrestabile catena di atrocità da entrambe le parti non si è mai arrestata e la violenza esplode nel 1982 nel massacro dei campi profughi di Sabra e Shatila, che improvvisamente priva Amal degli affetti più cari e di ogni speranza per il futuro. Mentre Amal sprofonda in un tunnel buio di silenzio e rifiuto, la nuova vita che cresce dentro di lei la tiene, contro la sua volontà, aggrappata al presente e a quella sorgente di amore che credeva essere per sempre inaridita e che, invece, goccia a goccia torna a rinascere. “Ogni mattina a Jenin” può non essere un romanzo perfetto: alcuni di noi hanno colto alcune incongruenze temporali o un tentativo probabilmente esagerato nel voler porre una singola famiglia al centro di così tanti eventi tragici della storia del popolo palestinese. Ma poco importa: quello che conta è che finalmente sia stata data voce ad un popolo che nel corso degli ultimi 75 anni ha vissuto una storia ininterrotta di umiliazione e violenza e di sistematica negazione della sua identità.
    • 27/03/2024 Gruppo Di Lettura Il Club Del Martedì
      Leggere "Ogni mattina a Jenin" in questo momento significa riconoscere la scarsa conoscenza degli avvenimenti che hanno caratterizzato 76 anni di conflitto israelo-palestinese. Da questo presupposto siamo partiti nella scelta di questo romanzo che sta alla Palestina come "Il cacciatore di aquiloni" sta all'Afghanistan: entrambi i romanzi riempiono un vuoto, soprattutto in Occidente, portando alla luce le sofferenze patite dalla popolazione. Uscito quasi in sordina negli USA nel 2006 con il titolo "La cicatrice di David" (in Italia "Il segno di David"), ripubblicato con successo nel 2010 con il titolo attuale e tradotto in 32 lingue, il libro trae origine dal massacro del campo profughi di Jenin del 2002, del quale l'autrice fu testimone. Narrato in prima e in terza persona, questo romanzo corale ripercorre le vicende di una famiglia palestinese a partire dall'abbandono della casa di Ain Hod (città occupata dal nuovo stato di Israele nel 1948) per arrivare alla quarta generazione, che pur vivendo negli Stati Uniti continua a pensare alla Palestina come alla terra delle proprie origini, anche se il luogo è stato cancellato dalle mappe. Il primo capitolo ha colpito le lettrici e i lettori per il tono poetico e le immagini di una vita semplice immersa in un paesaggio idilliaco. Qui l'amicizia tra Hassan e Ari racconta di una convivenza possibile. Dall'esilio in poi si entra nella drammaticità dell'occupazione e del conflitto. Il rapimento di Isma'il è simbolico di una situazione umana e politica: una donna ebrea che ha subìto le atrocità dell’Olocausto realizza il sogno della maternità portando via il figlio ad una madre araba. Il desiderio dell’una si concretizza sulla sofferenza e sulla perdita dell’altra. Le conseguenze di quell’azione carica di egoismo, così come le conseguenze dell'espugnazione forzata di territori già abitati, non vengono soppesate. Sarà difficile per Isma'il divenuto David ricucire lo strappo tra il passato e il presente, tra le due identità che suo malgrado deve accettare. In un crescendo di eventi sempre più drammatici in cui il lettore si trova coinvolto attraverso le esperienze dei protagonisti assistiamo alla Naksa nel 1967, alla strage di Sabra e Shatila del 1982 fino alla battaglia di Jenin del 2002 e alla morte di Amal che già si preannunciava nella prima pagina del romanzo. Con la sua morte - abbiamo osservato - finisce la speranza (questo infatti il significato di Amal in arabo). Nonostante l'odio che fomenta altro odio in una catena di atrocità da entrambe le parti, fino alla definizione del martirio come l'ultima spiaggia per chi ha già perso tutto, l'autrice riesce a focalizzarsi invece sull'amore, sui legami profondi all'interno del campo profughi che hanno spinto i palestinesi ad andare avanti. Ci hanno colpito in particolare l'affetto profondo tra Amal e Huda e la grande solidarietà tra tutte le donne di Jenin. Difficile tuttavia essere madri in quel contesto, riuscire ad esprimere un affetto pieno e completo. Non ci riesce Dalia e non ci riesce neppure Amal. Solo il ritorno in Palestina, il riannodare il legame con Huda, permetterà alla protagonista di riversare l'amore su Sara senza più alcuna resistenza. L'epilogo riporta l'ultima generazione in Pennsylvania dove Sara Jacob e Mansur potranno convivere e lasciarsi l'odio alle spalle, a patto di rimanere lontani dalla terra dei loro antenati. Nonostante i personaggi siano fittizi una parte del racconto è autobiografico e gli avvenimenti storici sono reali al punto da aver toccato profondamente la maggior parte delle lettrici e dei lettori. Ne è suscitata una discussione molto partecipata, non priva di punti di vista differenti, in cui l'emozione ha predominato. Un romanzo che offre una narrazione diversa che non è né giusta né sbagliata semplicemente ci offre uno sguardo altro, mettendoci in guardia dal prendere una posizione radicale e unilaterale.
  • Lucky Jim

    Amis, Kingsley

    • 24/04/2024
      Adriana Tonon Di figlio in padre
      Gibran il profeta: "Voi siete l'arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti", e Amis senior (incidentalmente studente di JRR Tolkien) ha scoccato bene e ragguardevolmente lontano dal suo albero. Sicché non mi soffermerò sulla loro comparazione anche perché si riduce al mero fatto che condividessero il cinquanta per cento del patrimonio genetico e fossero entrambi scrittori. Nemmeno il mio algoritmo di riferimento (Literature-Map) segnala affinità: literature-map.com/kingsley+amis Perciò mi viene da dire, semmai, che è un romanzo con un certo spirito Holden e un po' Werther, ma anche marìasiano, nel senso di Tutte le anime; come tale l'ho percepito ma solo parzialmente gradito. Devo al più conosciuto figlio Martin, che seguo e apprezzo da anni, la scoperta della sua esistenza e mi è venuta presto la curiosità di risalire, a ritroso, quest'albero genealogico. Lucky Jim è il suo primo romanzo e si fa leggere nonostante una certa arruffatezza nell'incedere dei fatti che credo sia imputabile al 'rodaggio' dei primi romanzi. La penna di Amis, ancorché acerba, qui rivela già talento e mestiere; è decisa e incisiva, e mi è arrivata con pregevole humour dalle tinte amarognole. Insomma, la mia impressione è che l'idea di questo romanzo era più chiara nella sua testa che come poi è riuscito a renderla su carta. Un altro appunto negativo riguarda i dialoghi: sono troppi e non particolarmente significativi; risultano ridondanti perciò superflui e, in più, nel continuo scambio di battute, si annacqua il sapore, si sminuisce la forza della sua prosa. A questo proposito, è da un po' che sulla forma dialogica ci storco il naso. La tollero per lo stretto necessario quando perfettamente funzionale all'efficacia e alla coerenza della narrazione poiché, oltre quella misura, comincio ad inciampare su quel virgolettato insistito: mi disturba e mi stanca. Preferisco una narrazione più fluida e continuativa, anche per un frivolo e semplice fatto estetico, prosodico ed ergonomico. Ad avere più tempo ed energia, sarebbe un autore da approfondire nella sua fase più matura, però 'avérghene'...
  • L'identità

    Kundera, Milan

    • 22/04/2024
      Adriana Tonon Metafora farmaceutica
      «Gli uomini non si voltano più a guardarmi. [...] Ogni donna misura il proprio grado di invecchiamento dall'interesse o dal disinteresse che gli uomini manifestano per il suo corpo». Che si tratti di Bruf** o Mom*** non cambia granché; sempre di ibuprofene si tratta: stesse indicazioni per sintomi analoghi e, suppergiù, a pari dosaggio, stessa efficacia e controindicazioni. Fra Kundera e il Marías de 'L'uomo sentimentale', 'Gli innamoramenti' e 'Così ha inizio il male', per dire, sempre della complessità delle relazioni umane si tratta: due colossi!, che mi si è rivelato solo ora, dopo quattordici Marías, sei Kundera e svariate cefalee tensive, essere proficuamente interscambiabili, proprio come Bruf** e Mom***. La qualità è quindi garantita, tranne per qualche controindicazione in più per il Marías delle ultime due pubblicazioni; per il resto pura soddisfazione letteraria ed emozionale. «Da adolescente, in effetti, arrossiva di continuo: si trovava all'inizio del percorso fisiologico della donna, e il suo corpo le appariva come qualcosa di ingombrante, qualcosa di cui si vergognava. Da adulta, ha smesso di arrossire. Poi le vampate di calore le annunciarono la fine del percorso, e di nuovo prova vergogna del suo corpo. Il suo pudore si ridestò e imparò un'altra volta ad arrossire».
  • I fratelli Tanner : romanzo

    Walser, Robert

    • 19/04/2024
      Adriana Tonon I would prefer not to *
      «Me ne infischio di godere del privilegio connesso al pagamento di un regolare stipendio mensile. In questo modo io degenero, rincretinisco, divento vigliacco, mi fossilizzo.» Dire che Simon (uno dei fratelli Tanner) è strano, è dire poco: forse un po' Oblomov e per certi versi *Bartleby; e pure Klara non scherza. A dirla tutta, nemmeno Kaspar, Emil e Sebastian sono centratissimi. Magari ci metti metà libro per riuscire a incasellarli in qualche modo; ma è proprio qui l'errore: tentare a tutti i costi di interpretarli. Disse un saggio - Noi non guardiamo l'arte quando la interpretiamo. Non è così che si guarda l'arte -, e già in questa sua opera prima, la scrittura intima e introspettiva di Walser, assieme ai suoi personaggi, esprime una delicata e fluida arte narrativa; un Bernhard dagli spigoli arrotondati, bucolico e peripatetico. «Ero un ragazzino a cui piaceva appoggiare la schiena alle stufe calde». P.S. È incredibile come, in anticipo di cinquant'anni, avesse 'visto' parte del suo futuro e la sua stessa morte (raccontata nel commovente 'Passeggiate con Robert Walser' di Carl Seeling, che consiglio). «Con quale nobiltà ha scelto la sua tomba. È sotto magnifici abeti verdi, coperti di neve, che egli giace. [...] Un riposo splendido, questo giacere e irrigidirsi sotto i rami degli abeti, nella neve. [...] La tua morte sotto il cielo aperto è bella, per molto tempo non potrò dimenticarla».
  • L'anima delle città

    Brokken, Jan

    • 16/04/2024
      Adriana Tonon Vite e destini
      Brokken il viaggiatore, eterno irrequieto: un irrequieto che riesce, con la sua prosa fluida e placida, a infondere una calma serena da viaggiatore che si incuriosisce di quello che osserva dal finestrino di un treno. È, infatti, questa la sensazione che egli trasmette a me che leggo i suoi diari di luoghi, epoche, sentimenti e persone che insegue, immagina e tratteggia amorevolmente in brevi ma incisivi ritratti. Brokken è quel treno che trasporta di città in città, di vite in vite (compresa la sua), di melodie in melodie, di arte in arte, il suo passeggero comodamente sprofondato in poltrona, e che lo fa intimamente partecipe di tutto ciò che narra. È con sobrietà, un pizzico di poesia e il dono della giusta sintesi che segue e districa la fitta rete del filo rosso che collega genius loci a genius artis. Succede che qui si abbandoni spesso, più che nei titoli precedenti, a reminiscenze personali e intrecci casuali con i personaggi di cui scrive, dando asilo ad una prustiana memoria involontaria. Mi ci ritrovo in pieno in questo atteggiamento: anch'io risalgo all'origine dei talenti artistici che incontro e, quando possibile, come lui cerco, anche fisicamente, di guardare il mondo dalla loro prospettiva. La profonda sensibilità, con la sua incessante ricerca e passione per tutto ciò che è alta espressione delle arti umane, si rivelano un fatto altamente contagioso. Ed è così che, fra le molte altre suggestioni che regala, sulle bottiglie storte e impolverate di Morandi, come sul riverbero scintillante dell'oceano su Pyla-sur-Mer e su Il viale di Middleharnis di Hobbema, ci ho lasciato gli occhi.
  • Le strade di Laredo

    McMurtry, Larry

    • 16/04/2024
      Adriana Tonon Straight to Comanche Moon
      Quando un uomo con la pistola incontra un uomo con il fucile [tedesco a cannocchiale], quello con la pistola è un uomo morto [a meno che non si tratti del capitano Woodrow Call, il più famoso Texas Ranger di tutti i tempi]. Non dico altro se non che, per me e fin qui, è la più incalzante e appassionante epopea western mai letta; mancano ancora il prequel (Il cammino del morto) e il sequel del prequel ancora da tradurre e pubblicare in italiano (Comanche Moon). Perciò, rimando al commento che feci all'ottimo primo capitolo, Lonesome Dove.
  • 3: Legami di sangue

    Nix, Garth

    • 12/04/2024
      Alessandro Cesa Voto:5 stelle
      Mi è piaciuto molto leggerlo perché parlava di spiriti animali e della fiducia con loro proprietario. La storia che raccontava il libro mi trasportava nel mondo fantastico che stavo leggendo.
  • O bella ciao : racconti di ragazze e ragazzi nella Resistenza

    Vaccarino, Lucia

    • 10/04/2024
      Leonardo Grigoletto Molto interessante
      Ho trovato molto interessante questo libro perchè ti spiega la storia della guerra, dei lavori e incarichi che avevano i giovani ragazzi e partigiani.
  • [2]: La casa sull'albero di 26 piani

    Griffiths, Andy <1961- >

    • 10/04/2024
      Divertente
      Questo libro mi è piaciuto tanto perché è divertente e mi ha catapultato in una casa dove io vorrei vivere anche se qualche volta ci sono dei disguidi. Alla fine, i protagonisti riescono tutti ad arrivare alla stessa soluzione.
  • La straordinaria invenzione di Hugo Cabret : un romanzo per parole e immagini

    Selznick, Brian

    • 10/04/2024 Christian Benincà bello
      é stato molto bello leggerlo lo consiglieri a persone con difficoltà a leggere
    • 21/12/2023
      Nicola Franzogna Un Grande Libro
      Un bellissimo libro che riesce a bilanciare il numero di pagine con molte immagini che aiutano la comprensione del libro. Una storia strappalacrime di grande livello, non c'è nient' altro da dire se non: un grandissimo libro!!!